Cité de Refuge, restauro esemplare per un'opera «viva» - Giornale dell'Architettura

2022-07-23 05:08:53 By : Ms. Jo Ren

Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.  Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369 Fondatore: Carlo Olmo.  Direttore: Luca Gibello.  Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.

Written by: Francesca Rosa • 3 Ottobre 2017• Mosaico Patrimonio

PARIGI. In Francia sono diverse le iniziative che si intraprendono a sostegno dell’architettura moderna e contemporanea, come dimostra anche uno dei recenti provvedimenti del Ministère de la Culture et de la Communication, relativo alla labellisation come patrimonio del XX secolo di dieci opere pubbliche, luoghi di vita e di lavoro ed esempi di innovazione, realizzate a Parigi durante la V Repubblica tra cui il Centre Pompidou e la Bibliothèque nationale de France. Ma accanto ai provvedimenti giuridici, top down, le istanze del patrimonio più recente sono perseguite soprattutto nella quotidianità, con approccio bottom up, attraverso iniziative di sensibilizzazione come le imminenti Journées nationales de l’architecture, istituite nel 2016, e le Journées européennes du patrimoine, di cui si è da poco conclusa l’edizione 2017.

A quest’iniziativa ha aderito anche il complesso costituito dalla Cité de Refuge, realizzata nel 1933 da Le Corbusier e Pierre Jeanneret, e dal Centre Espoir, l’ampliamento firmato nel 1978 da Georges Candilis e Philippe Verrey, aprendo al pubblico e consentendo di considerare gli esiti dell’integrale intervento di restauro-ristrutturazione promosso dalla Fondation de l’Armée du Salut e da 3F-Résidences Sociales de France a poco meno di due anni dalla conclusione. I lavori, finanziati con risorse pubbliche e private, sono stati svolti in due fasi consentendo alla struttura di continuare a funzionare: la prima circoscritta al Centre Espoir condotta da Opéra Architectes (2011‐14); la seconda relativa alla Cité de Refuge, dal 1975 parzialmente inclusa nel patrimonio culturale, curata da François Chatillon, Architecte en chef des Monuments Historiques, e Opéra Architectes (2014‐15).

La Cité de Refuge è un’opera del Movimento Moderno importante e dalla storia tormentata, che grazie alla continuità d’uso è stata sottratta all’oblio ma è anche stata esposta a trasformazioni e alterazioni. Nel 1948‐52 l’edificio, in stato di degrado anche in seguito al conflitto bellico, è sottoposto al primo ampio intervento di rinnovamento curato dagli stessi Le Corbusier e Jeanneret, con Iannis Xenakis e Vladimir Bodiansky. La celebre facciata continua in lastre di vetro su rue Cantagrel viene trasformata con l’inserimento di telai di legno vetrati su pannelli-parapetto pieni, e con l’aggiunta di un brise-soleil in calcestruzzo leggero lasciato al grezzo, innestando sull’originaria architettura purista uno “strato” del coevo linguaggio brutalista lecorbusiano. Solo nel 1961 viene introdotta la policromia, studiata dagli architetti in base ai toni intensi dei colori primari, blu, giallo e rosso, ispirati alla bandiera dell’Armée du Salut che sin dal principio caratterizzavano il padiglione d’entrata. Negli anni ‘70 e ‘80 l’edificio è interessato da intense operazioni di rinnovamento e adeguamento, scoordinate e carenti di studi storici preliminari nonostante la parziale inscription, nel 1975, nell’Inventaire supplementaire des monuments historiques (facciate, coperture, hall, corpi scala). In particolare, nei lavori del 1973‐77 curati da Verrey la facciata su rue Cantagrel è di nuovo trasformata con la dipintura in bianco del brise-soleil a scapito della finitura grezza, e con nuove tonalità scelte per i colori primari, distanti da quelle concepite da Le Corbusier. Inoltre, la policromia viene estesa alla facciata del prisma dei dormitori su rue du Chevaleret, in origine monocroma. Nei lavori degli anni ‘80 i caratteri materici delle facciate sono ulteriormente modificati soprattutto con la sostituzione degli elementi di legno con altri di alluminio.

Il progetto di restauro-ristrutturazione del complesso, ora denominato Centre d’hébergement et de réinsertion sociale (CHRS) Cité de Refuge-Centre Espoir, è stato svolto in collaborazione tra tutte le parti coinvolte, con l’obiettivo di conciliare valore sociale e culturale, esigenze di adeguamento a norme e nuovi modi d’uso, istanze di conservazione del patrimonio. Soluzioni architettoniche, modalità e tecniche di intervento sono state valutate e condivise tra committenti, utenti, tecnici, imprese di costruzione, conservatori, storici dell’architettura e istituzioni, tra cui la Ville de Paris, la Drac-Direction régionale des affaires culturelles e la Fondation Le Corbusier, custode dell’archivio e titolare dei diritti morali di proprietà intellettuale, riuniti in un Comité de suivi archéologique, scientifique et technique (CSAST) appositamente creato.

Alla base dell’operazione si colloca la scelta di lasciare immutata la destinazione d’uso del complesso, offrendo alle finalità sociali le risorse del limitrofo ex quartiere industriale in corso di riqualificazione nel 13° arrondissement, e utilizzando sovvenzioni destinate al social housing per intervenire anche sulle parti protette. Inoltre, al fine di restituire identità architettonica all’opera di Le Corbusier e Jeanneret, i lavori più invasivi e l’adeguamento alle norme di sicurezza, accessibilità ed efficienza energetica, sono stati concentrati sul Centre Espoir che, profondamente trasformato, comprende stanze per coppie o famiglie e appartamenti monocamera. Nel corpo dei dormitori della Cité de Refuge l’intervento più consistente ha riguardato le ‘cabine’ lecorbusiane, trasformate in camere singole più ampie con servizi indipendenti, conservandone solo due nello stato d’origine. La nuova organizzazione degli spazi consente di accogliere complessivamente circa 300 ospiti.

La dicotomia tra parti protette, iscritte nell’Inventaire, e parti non protette, è stata superata estendendo l’attenzione anche ad altri elementi emblematici della Cité de Refuge come, ad esempio, il padiglione d’entrata e la rue-intérieure. In base ai sondaggi stratigrafici e alle indagini d’archivio è stato possibile, in particolare, ripristinare fluidità spaziale, materialità e policromie della sequenza reception-hall e della rue-intérieure grazie alla rimozione delle aggiunte improprie, al recupero e al riutilizzo di elementi costruttivi e di finitura originali e al rifacimento all’identique di quelli perduti e non più in produzione, apportando anche aggiornamenti tecnologici.

Ad esempio, nelle superfici di vetrocemento, i blocchi Nevada Saint-Gobain ancora in situ sono stati recuperati e rimessi in opera insieme a riproduzioni che hanno sostituito blocchi di fattura diversa impropriamente usati in precedenti lavori di rinnovo. Le riproduzioni sono state eseguite con un calco stampato in 3D di dimensioni lievemente inferiori alle originali, per calibrare meglio i giunti di dilatazione. Nel padiglione di entrata, grazie a finanziamenti della Drac, le piastrelle di vetro colorato Désagnat usate come rivestimento delle pareti e del soffitto, tutte mancanti, sono state riprodotte con un materiale appositamente creato, simile a quello originale. La ricostruzione à l’identique ha coinvolto anche alcuni dettagli come i diffusori Albalite riprodotti, sulla base di fotografie, secondo il modello degli anni ‘30.

L’aspetto più significativo dell’intervento ha riguardato la decisione di far coesistere nella facciata su rue Cantagrel i due stati concepiti da Le Corbusier: quello brutalista degli anni ’50, di cui peraltro non era rimasto alcuno strato materico eccetto il brise‐soleil, e quello purista degli anni ’30 delle volumetrie e trasparenze nei tre piani in corrispondenza dell’attico che, rimaneggiate fino agli anni ’50, erano state già in parte ripristinate nei lavori degli anni ‘70.

Escludendo la ricostruzione à l’identique dell’intero stato purista d’origine, si è deciso di tramandare la facciata “eclettica”, testimonianza delle trasformazioni lecorbusiane. La nuova policromia è stata messa a punto interpretando gli studi sui colori primari effettuati da Le Corbusier negli anni ’50, ed è stata estesa anche alla facciata su rue de Chevaleret, tramandandone il carattere policromo acquisito negli anni ’70 e fissato nell’immaginario.

Il restauro-ristrutturazione della Cité de Refuge-Centre Espoir, descritto in un volume e premiato nel 2015 nel concorso annuale Geste d’Or per interventi sul patrimonio costruito, ha destato perplessità in una parte della comunità scientifica soprattutto per le trasformazioni dei dormitori lecorbusiani e per la scarsa prospettiva storica nei confronti dell’opera di Candilis e Verrey.

L’intervento costituisce un’ulteriore occasione per riflettere sui temi del restauro dell’architettura moderna e in particolare delle opere di Le Corbusier, sulla necessità e sull’efficacia delle procedure di protezione, sull’opportunità di un approccio scientifico multidisciplinare con cui agire su edifici fragili, sulla dialettica tra conservazione e trasformazione, sul rapporto tra restauro e progetto, sul dibattito tra la restituzione dell’immagine iconica di un’opera o la restituzione della ‘vita’ di un’opera nel tempo, sull’esigenza di un edificio di continuare a “vivere” dopo il restauro.

Nel caso dell’intervento sulla Cité de Refuge-Centre Espoir, il coinvolgimento degli utenti e la continuità d’uso, che ha escluso un’eventuale ipotesi di museificazione, sono tra i punti determinanti per tramandare l’idea originaria dell’opera e garantire l’estensione della sua “vita” in una rara e autentica dimensione. Durante le recenti Journées européennes du patrimoine il complesso, che ha accolto visitatori persino nel corso del cantiere di restauro-ristrutturazione, ha offerto visite guidate coordinate dal personale dell’Armée du Salut e condotte dai “Modulors”, gli attuali residenti che, consapevoli del luogo che abitano e orgogliosi del “loro” architetto, sono i veri depositari e custodi di questo patrimonio architettonico e sociale.

Oggetto: progetto di ristrutturazione-restauro del Centre d’hébergement et de réinsertion sociale (CHRS) Cité de Refuge-Centre Espoir

Indirizzo: 12 rue Cantagrel; 37‐43 rue de Chevaleret, XIII Arrondissement Paris

Committente: Résidences Sociales de France (3F-Groupe Solendi)

Utente: Fondation de l’Armée du Salut

Centre Espoir: Opéra Architectes (2011‐14)

Cité de Refuge: François Chatillon, Architecte en chef des Monuments Historiques, e Opéra Architectes (2014‐15)

Consulenza ingegneristica: COTEC Ingénierie du Bâtiment

Imprese: Bateg; SICRA (Vinci Construction France)

Legata alle ricerche sulla Ville Radieuse e alle successive esperienze delle Unité d’habitation, la Cité de Refuge è l’inedita risposta architettonica di Le Corbusier e Jeanneret all’ambizioso programma di accoglienza residenziale e reintegrazion e sociale dell’Armée du Salut. Alla fine di una complicata fase progettuale, dovuta a vincoli contestuali, normativi e finanziari, l’edificio si configura come una composizione di volumi puri di diverse altezze che, grazie anche ad alcuni dettagli tratti dall’architettura navale, evoca un transatlantico. Davanti al prisma longitudinale dei dormitori dimensionato per 500 ospiti, sono allineati il volume cubico del padiglione di entrata e la rotonda della reception, collegati tra loro da un ponte coperto, e il corpo della hall e dei servizi collettivi. La sequenza entrata-reception-hall in continuità all’ingresso principale in rue Cantagrel enfatizza la vocazione all’accoglienza. La struttura in cemento armato e i cinque punti per una nuova architettura sono applicati a un edificio di notevole dimensione e complessità funzionale, insieme ad altri elementi lecorbusiani come la rue‐intérieure che collega gli spazi di servizio con l’accesso in rue du Chevaleret. Un toit‐jardin è organizzato sulla copertura della rotonda, mentre un solarium conclude i volumi in ritiro dell’attico nel prisma dei dormitori. Il prisma è chiuso a sud, verso rue Cantagrel, da una parete ermetica in lastre di vetro montate su un’orditura di telai in acciaio, cui è abbinato uno dei primi sistemi di aerazione meccanica, respiration exacte. Facciata continua e impianto di climatizzazione, entrambi radicalmente sperimentali e sin da subito rimaneggiati, attivano le trasformazioni e le alterazioni avvenute a più riprese nella seconda metà del ‘900 pregiudicando l’originaria integrità dell’opera.

Laureata in architettura, acquisisce nel 2002 il titolo di dottore di ricerca in Ingegneria edile presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Iscritta dal 1996 all’Ordine degli Architetti di Roma, svolge attività professionale autonoma effettuando consulenze nel settore dei Beni culturali. Ha partecipato a progetti di ricerca presso l’Accademia Nazionale di San Luca, le Facoltà di Ingegneria dell’Università di L’Aquila e di Roma La Sapienza e la Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari. Ha collaborato con il portale web Archinfo.it e con la rivista «Hevelius’ Webzine». Ha fatto parte della redazione web di AAA/Italia e della redazione di «DOCOMOMO Italia Giornale». Dal 2012 è responsabile dei social media per DOCOMOMO Italia onlus. Autrice di voci per il Dizionario biografico «Allgemeines Künstlerlexikon». Svolge attività di studio e di ricerca seguita da pubblicazioni relative al patrimonio architettonico moderno e contemporaneo

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